Cronaca

Caos al Pronto Soccorso, circa 24 ore prima di essere ricoverato

La lunga attesa vissuta da un anziano invalido affetto da broncopolmonite. Il racconto della figlia: «Nella sala d'attesa i pazienti fingevano di svenire pur di essere visitati. Abbiamo vissuto momenti di vera isteria collettiva»

Immagine d'archivio

Circa ventiquattro ore prima di essere trasferito da un lettino di emergenza in una stanza del reparto di Medicina. Avete capito bene. Giorgio, nome di fantasia, ha dovuto diligentemente aspettare un giorno intero al Pronto soccorso di Udine prima di essere allettato in uno spazio idoneo al suo stato di salute. E ben 8 ore prima di essere sottoposto ai raggi X che beffardamente hanno confermato quello che già il medico di base aveva diagnosticato 10 ore prima, ovvero che era affetto da una brutta e fastidiosa broncopolmonite. 

I primi sintomi

Giorgio è un anziano di 79 anni - classe 1939 - dichiarato al 100% invalido, insulinodipendente poiché gravemente diabetico e con alle spalle un delicato intervento al cuore. Tutto è iniziato quattro giorni prima del ricovero, quando ha iniziato a soffrire di febbre alta. Al terzo giorno di cure inefficaci, le due figlie, insospettite, telefonano al medico di famiglia chiedendo una visita urgente e a domicilio. La fissano per la mattina seguente. Così, lunedì 5 marzo di buon'ora, l'analisi del dottore non tarda ad arrivare: si tratta quasi certamente di broncopolmonite. Il medico prepara la documentazione necessaria trascrivendo bene le patologie e l'anamnesi del paziente e invita Giorgio a farsi ricoverare presso il nosocomio udinese. CONTINUA: "L'attesa infinita"

L'attesa infinita

Il tempo di prepararsi e dopo qualche minuto una delle due figlie e il padre sono già al Santa Maria della Misericordia. Sono appena le 10 ma la sala d'attesa del Pronto soccorso pare già un "ospedale da campo". "Capita", pensa la figlia. Così, dopo esser passata per l'accettazione, decide di far accomodare il genitore su una delle sedie a rotelle dell'ospedale e di armarsi di sana e santa pazienza. Alle 14, dopo "sole" 6 ore, la donna si accorge che il corpo del padre inizia ad irrigidirsi tutto e chiede ed ottiene un lettino dove farlo distendere e riposare. Le ore passano e le sorelle sono costrette a darsi il cambio. Alle 18 la prima, sospirata, chiamata per gli esami ai raggi X, dopodichè nuovamente al punto di partenza dove aspettare i risultati delle lastre. Alle 21 gli esiti confermano quanto scritto dal medico di base 11 ore prima: la valutazione ipotizzata la mattina parla infatti di polmonite lobulare.  

Notte al Pronto Soccorso

Carte alla mano e con Giorgio oramai "in stati pietosi, indurito e stanco", la figlia si mette a massaggiare il corpo del padre e ad aspettare il trasferimento in reparto. Tutto inutile. Dopo qualche ora un'assistente sanitaria ammette qualche disguido in corso d'opera e dichiara alla donna che il reparto di Medicina è saturo e senza alcun letto a disposizione. Giorgio viene dunque spostato nella stanzetta d'osservazione attigua al Pronto Soccorso, dove passerà la notte senza cena e in compagnia di altri quattro pazienti. Solo l'indomani mattina, verso le 8, il trasferimento al reparto dove tuttora si trova ricoverato. CONTINUA: "Fingevano di svenire pur di farsi visitare"

"Fingevano di svenire pur di farsi visitare"

«Abbiamo vissuto una situazione paradossale che non si può non denunciare - ci spiega sconfortata una delle due figlie di Giorgio - . Ne ho parlato a lungo anche con una dottoressa e anche lei mi ha riferito che è giusto che la nostra vicenda sia raccontata. Io capisco che ci siano dei lavori in corso d'opera al Pronto Soccorso, ma gli spazi rimasti e il servizio sono decisamente stretti e inadeguati. Comprendo, ovviamente, le emergenze, io stessa immaginavo un'attesa potenziale di 4-5 ore, ma un giorno è troppo, ha costretto due famiglie a fare dei salti mortali, mettendo la salute di mio padre a rischio. Vi giuro che in sala d'attesa, quel lunedì mattina, le persone fingevano di svenire pur di essere visitate. Abbiamo vissuto momenti di vera isteria collettivaIo e mia sorella ci siamo sentite impotenti e con le mani legate. Un trattamento che non imputo a nessuno in particolar modo, anzi, so perfettamente che il personale, che ringrazio, ha fatto e sta facendo il possibile per mio padre, ma è evidente che c'è qualcosa che non stia andando nel verso giusto. Forse è colpa dei tagli- ipotizza la donna concludendo - , ma chi ne va di mezzo sono sempre le persone deboli e i medici e gli infermieri che sono costretti ad allargare le braccia». 


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