Cronaca

Nel vuoto con la tuta alare: la storia di Marco, l'udinese volante

Marco Milanese, 32 anni, è guida alpina. Da diversi anni è paracadutista, ma ama anche lanciarsi dalle montagne con la tuta alare, per scoprire nuove linee di volo

Marco Milanese in volo

Ognuno viene a questo mondo per occupare un suo spazio preciso. Non si parla di missioni, non dobbiamo per forza avere tutti un ruolo "produttivo", anzi. Si parla di essere aderenti a se stessi. Marco Milanese, udinese di 32 anni, è uno di quelli che sa da tempo che tipo di persona è e qual è il suo posto. Anzi, quali sono i "suoi" posti, visto che una sola cosa è troppo poco, un solo luogo non sarà mai abbastanza. Marco è guida alpina. Ma è anche un paracadutista, uno slackliner e un base jumper. Tutte queste definizioni e molte altre ancora, da viaggiatore a insegnante, fanno di lui esattamente la persona che vuole essere.

Marco Milanese sarà venerdì 31 gennaio all'auditorium Menossi di Udine, alle 21, ospite del 36° Festival del film e dei protagonisti della montagna, dove racconterà il suo modo di vivere la montagna facendo vedere alcuni video e parlando non solo del suo essere ormai un'esperta guida alpina, ma anche l'unico base jumper dalla montagna del Friuli Venezia Giulia.

Il base jumping

Il base jumping è un'attività che prevede il lanciarsi nel vuoto da una grande altezza. "Base" è un acronimo per buildings (edifici), antennas (torri abbandonate o simili), span (ponti) e earth (scogliere o altri tipi di formazioni naturali).Molti lo vogliono chiudere dentro la definizione di sport estremo, ma è proprio Milanese ad opporsi a questa visione. Non solo perché per essere uno sport dovrebbe prevedere come minimo una competizione, ma anche e soprattutto perché per lui stesso ha un significato profondamente diverso. «Per quanto mi riguarda è più uno stile di vita. Non essendoci un ranking mondiale non è uno sport e ho imparato che più grande diventa un'attività, più perde la sua identità. Per me praticare il base jumping nasce da altre motivazioni, personali e interiori». Il base jumping è la cosa più simile al volare, per un essere umano. È qualcosa che ha a che fare con la libertà, l'empatia con il circostante, la scoperta del fuori (il mondo) e sicuramente anche del dentro (il noi).

Il volo con la tuta alare

«In generale veniamo spesso etichettati come "adrenalin junkies", ma io mi discosto molto da questa definizione, perché l'adrenalina fa parte dei primi salti, delle prime camminate sull'highline, delle prime arrampicate a mani nude. Io non faccio questo per la ricerca di una scarica, ci sono molti modi più semplici per scaricare l'adrenalina. Qui si vivono le sensazioni del volo, che non sono replicabili con altre attività, non a caso si parla di "human flight": con la tuta alare è il corpo che vola, non c'è qualcosa a cui si è appesi».  Volare è il sogno di quasi tutti i bambini, è qualcosa che ha a che fare con la nostra limitata natura di esseri umani e il nostro umano desiderio di scoprire quei limiti. Ma volare per un base jumper è qualcosa di più.

«Non essere appesi a qualcosa è una sensazione incomparabile. Oltre al voler provare questa emozione, c'è l'idea di cercare delle "linee" nelle montagne. Quando guardo una montagna mi piace approcciarla con diverse visioni, immagino il volo che la attraversa: una volta che hai volato dritto per cento volte, il bello è ricercare linee che le attraversino, voli che le sfiorino per scoprire nuovi modi di starci dentro, in mezzo». Una montagna può essere percorsa a piedi, può essere scalata, arrampicata e ci si può volare in mezzo, come fosse un parco giochi con diverse attrazioni. «Le montagne sono come un play ground, dove affinare capacità, tecniche e linee». Dietro ogni volo c'è molta passione ma anche molta preparazione.

La pratica

Quello che tutti si chiedono e gli chiedono sempre, quando Milanese presenta le sue attività e fa vedere i suoi salti, è come si inizia a fare il base jumper. La scintilla è probabilmente qualcosa di innato che sta dentro il Dna dei jumper, poi è necessario costruirci sopra la tecnica attraverso l'esercizio e la pratica

«Tutto è nato rompendomi il polso sinistro. Ero impossibilitato a fare qualsiasi cosa e siccome l'idea del paracadutismo mi girava in testa da tempo e sapendo che per aprire il paracadute si usa il braccio destro, ho iniziato un corso di paracadutismo a San Stino di Livenza». Era il 2014. Da quella volta sono trascorsi diversi anni, 400 salti, moltissime lezioni e infinite ore di preparazione.

«Da lì è nata tutta passione per il volo in generale. Ho cominciato con l'A.F.F. (Accelered Free Fall): sei da solo con il tuo paracadute con istruttori che ti tengono ai lati, mentre con la radio sei guidato da terra per fare i primi atterraggi. Una volta fatto il corso bisogna continuare a fare salti, fino almeno 50, da studente, con prove pratiche di esercizi da fare in aria. Al 50esimo lancio si può accedere al test a crocette per la licenza di paracadutismo con cui si può andare in tutte le "drop zone" del pianeta».

Ma il paracadute, per uno cresciuto umanamente e professionalmente tra le montagne, era troppo poco.

«Mi ero già interessato al base jumping perché fa parte del mio mondo alpino: in montagna con la tuta alare copri molte più distanze. Letteralmente voli via dalla parete di roccia». Milanese comincia così il percorso formativo. Anche qui bisogna raggiungere un certo numero di salti di paracadutismo senza tuta alare e poi si può indossare la "divisa" da uomini volanti. 

Come 

Una volta fatti i 200 salti, si può fare corso di "Base", che non prevede immediatamente l'uso della tuta alare. «Non esistono corsi ufficiali, ma corsi tengono persone universalmente riconosciute con migliaia di salti». Da lì in poi è stato solo saltare, volare, percorrere vecchie linee tra le montagne e scoprirne di nuove. I salti di Milanese sono stati circa 400 solo di base jumping prevalentemente in Europa, poi in Arabia.
«I primi salti li ho fatti dal parapendio di un amico, in un modo che assomiglia molto al paracadutismo: ti sganci da un oggetto che vola a 600 metri di altezza e di fronte a te è tutto libero».Il paracadute da base è diverso da quello normale, che ha un paracadute principale e quello di riserva, con sistema di sicurezza: il paracadute da base jumping non ha nessun sistema di sicurezza ed è più grande perché le aperture devono essere molto potenti e gli atterraggi sono molto più complicati. «Dopo i salti con il parapendio ho cominciato a saltare da un ponte in Croazia dove si trova gente da tutto il mondo e dove non ci sono problemi con le autorità, visto che i proprietari del terreno  ospitano volentieri i jumper». I lanci dal ponte sono uno step successivo ai primi salti. «Si va nel ponte perché anche se apri il paracadute vicino al punto di lancio non ti schianti sulla parete nel caso in cui il paracadute all'incontrario, cosa che può accadere se non sei simmetrico con le spalle al momento dell'apertura».

Dove

Milanese non salta per esibirsi, né per dimostrare qualcosa a qualcuno. È anche per questo che quando sceglie un posto non lo fa seguendo una moda, anzi. «Di sicuro uno dei criteri è la facilità di raggiungimento dei posti dai quali si può saltare: non amo le folle e per questo mi piacciono molto le Alpi Giulie perché non hai tanta gente che salta, sono selvagge e ci sono delle linee molto belle da fare con la tuta alare. Uno dei posti più famosi in Italia è il Monte Brento ad Arco di Trento, sopra il Lago di Garda: è una delle pareti più sicure al mondo perché è molto strapiombante e c'è un minimo rischio di andare a sbattere contro la parete. Inoltre ha un atterraggio molto ampio». La bellezza e la relativa comodità del luogo ha addirittura creato un business, con taxi che quotidianamente portano i saltatori in cima alla parete.

Chi

«D'inverno salto molto meno, lavoro molto e gli accessi sono più impegnativi a causa della neve. In generale comunque salto da solo, solo alcune volte con team di base jumping mondiale, Phoenix-Fly che sono i primi produttori di tute alari del mondo. Quella dei base jumper è una comunità di nicchia e questo offre molti vantaggi: le persone sono tutte molto accoglienti e disponibili ad aiutare ed ospitare gli altri. Ovviamente ci si fa molto amici, tutti sparsi in giro per il mondo».

La preparazione

Non solo fisico, anzi. «Molti pensano che la parte più dura sia quella che spetta al corpo. Invece la maggior parte della preparazione è mentale. L'uso della mente in tutte queste attività è quasi più importante del fisico, io lo chiamo allenamento di coscienza motoria per il volo con la tuta alare. In buona sostanza bisogna ricercare la concentrazione profonda nel momento dello stacco dei piedi: riuscire a focalizzarsi solo sulla propria vita è difficilissimo. Come? L'unico modo è esporsi a situazioni di stress in cui la mente deve governare il momento. È necessario interiorizzare ma non sovrastare le proprie paure, prenderne atto e gestirle». Un esercizio che poi diventa molto utile nella vita reale, per questo lui fa spesso anche yoga, stretching meditativi e mette in atto la ripetizione mentale di un movimento. «Prima di andare a dormire penso ai movimenti che faccio in montagna: ho dei pattern tutti uguali come fare il nodo alle corde, scrollare la mano.. interiorizzandoli so di sviluppare la coscienza motoria e quando mi trovi nella situazione è molto più facile».

Lanciarsi nel vuoto, se pensato unicamente così, può essere un atto che genera molta paura. Ma per Milanese non è solo questo. C'è la scoperta, c'è l'emozione e il desiderio. «La cosa che mi fa più paura in assoluto è la mediocrità. Quando faccio un'arrampicata molto impegnativa o un salto nuovo certo che ho paura, ma è normale. Io penso che però sia giusto prendere coscienza di avere degli strumenti che mi permettono non solo di sopravvivere ma anche di divertirmi. Ho allenato mia madre a non avere paura. Mio papà era alpinista, ma tutto quello che faccio io va oltre. Mia mamma capisce le motivazioni e mi da un appoggio silenzioso senza contrasti, che mi permettono di farlo con passione».

Prossimi obiettivi? Top secret. Però... «Vorrei aprire dei salti nuovi in Friuli, non ne abbiamo tanti ma ci sono molte possibilità. La mia vita è questo: non è un hobby, né un lavoro... è semplicemente il mio posto nel mondo».


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